Bomboniere
Estemporanea di Rodolfo
Clarizia
C’è
una pagina memorabile de “Piccolo Principe” di Saint Exupèry in cui l’alter
ego dell’autore, arrendendosi difronte alla sua incapacità di
rappresentare compiutamente una pecora, disegna con uno stratagemma una
semplice scatola e la regala al piccolo principe facendogli credere che la
pecora sia lì dentro. Il piccolo principe non si scompone e gli chiede
soltanto di disegnare anche un piccolo buco affinché la pecora possa
respirare. Guardare le creature fragili e metamorfizzate di Rodolfo
Clarizia è esattamente come accostare l’occhio a quel buco e intuire il
mondo.
I
personaggi di Rodolfo, tuberi pensanti e per questo umanizzati nella loro
capacità di esistere in quanto esseri con necessità e abilità
intellettive (vedi "Sammit
di piante grasse"), antropomorfizzati nella forma e nel disegno,
umanoidi mutanti, con braccia piedi capelli e un occhio che evocano lungo
la linea dell'evoluzione della specie una discendenza diretta dall'uomo ma
che in questo stadio dell'evoluzione assumono il valore di residui, sono
protesi decadenti di una civiltà (quella dell'uomo, la nostra, quella di
Rodolfo) forse essa stessa decadente e fatalmente decaduta, estinta.
Organismi molli, irregolari, invertebrati, simili alle forme
dell'animale-uomo non certo per ambizione ma per retaggio fastidioso e
superfluo, abitano e popolano l'universo appartenuto all'uomo e ne
occupano esattamente la stessa posizione, lo stesso ruolo, in una civiltà
culturale probabilmente identica e quindi destinati alla stessa decadenza.
Sono rappresentazioni che evocano libertà claustrofobiche, esseri umani
abitanti di un mondo artefatto ed elementare che assomiglia terribilmente
al nostro, uomini “bomboniera” che dietro una espressione superbamente
monoculare e un corpo satollo e decontestualizzato e decostruito, come
espediente di superamento della normalità che conduce alla mediocrità,
nascondono un lato oscuro, una diversità che paradossalmente si svela
nell’atto stesso di mascherarsi producendo una asimmetria nei corpi e di
fatto creando una prospettiva di visione su una porzione di universo che
cognitivamente appartiene ed è capacità e intenzione solo dell’occhio
dell’autore che, attraverso i suoi personaggi, guarda nella stessa
direzione del nostro oltre il foglio e dentro il foglio, al di la della
rappresentazione visibile che è tale solo nella prospettiva in cui si
pone come altro da noi (l’occhio visibile di ognuno dei personaggi che
si pone di fronte a noi e si impone come alterità da noi). L’altro
occhio oltre il visibile in realtà si ricompone con una visione primitiva
che era quella attiva ancor prima dell’universo mimetico dell’autore
che di fatto lo produce ed in ultimo è l’atto finale della metamorfosi
in cui il superamento coincide con la sovrapposizione e
l’identificazione tra il nostro occhio e quello nascosto del mondo alter
ego di Rodolfo, avanposto percettivo verso l’ignoto, oppure verso la
parte ignota di noi stessi: rappresentazione come visione amplificata.
I personaggi, metafore di noi stessi, che popolano l’universo parallelo
di Rodolfo Clarizia sono creature che aspettano, vite sospese e iterative,
catene di montaggio come giochi mentali, eroi a schiera illuminati da
preoccupanti parabole - come un riflesso della vita vera - che lasciano
intravedere l’ordinarietà perfino dei nostri sogni.
La fragilità di queste architetture corporee corrisponde in fondo alla
fragilità delle nostre vite. Non c’è via di fuga se non la disarmante
speranza di un evento finale e definitivo - come l’uomo che aspetta che
la natura faccia finalmente il suo corso - e insieme la consapevolezza che
la fragilità e l’eternità così come la normalità e la diversità
sono due aspetti di un’identico destino e di un’unica condanna. Alla
fine almeno un dubbio ci sfiora: che la nostra sia in fondo una condanna a
vivere piuttosto che a morire.
Daria
Coccatrenco